Sulla riconducibilità del "trust interno" alle categorie civilistiche
Sulla riconducibilità del "trust interno" alle categorie civilistiche
Sommario: 1. La disciplina dettata dalla Convenzione de L'Aja dell'1.7.1985, resa esecutiva con L. 16.10.1989 n. 364; - il problema del suo coordinamento con la L. 31.5.1995 n. 218; - le incertezze in ordine all'applicabilità dell'art. 3 n. 3 e dell'art. 7 n. 2 della Convenzione di Roma del 19.6.1980, ratificata con L. 18.12.1984 n. 975; - l'inadeguatezza delle regole di diritto internazionale privato ad inquadrare e sviluppare il tema sostanziale, che la formula del “trust interno” sottende. - 2. Dal diritto internazionale privato al diritto uniforme; - il cd. trust amorfo; - la rilevanza dell'intento empirico, sostanzialmente perseguito nelle operazioni, alle quali fa riferimento l'art. 2 della Convenzione de L'Aja; - l'esigenza di operare una correlativa qualificazione, nonché di rinvenire la più adeguata disciplina sul piano dell'ordinamento interno. -3. Dall'atipicità del negozio alla sua tipicizzazione nel concreto; - il principio di rigorosa corrispondenza fra l'assetto di interessi, costituente espressione dell'autonomia del disponente e gli effetti giuridici, che l'ordinamento è tenuto a enucleare; - realizzazione dell'assetto di interessi in via immediata e perseguimento dell'intento (destinatario ed attributivo) in chiave procedimentale; - destinazione dei beni allo scopo e correlativa esigenza di attività gestoria; - potenzialità dell'attribuzione traslativa e poteri strumentali del gestore; - l'aspettativa dell'acquisto da parte del beneficiario; - il compito dell'interprete in sede di rilevazione del dato sostanziale e di approntamento dei relativi schemi formali. - 4. Coessenzialità dell'attribuzione patrimoniale con lo scopo negoziale specificamente perseguito; - la peculiare efficacia del negozio posto in essere dal disponente; - incidenza funzionale dell'attività gestoria; - rifiuto di attuazione del programma negoziale da parte del gestore e tutela del beneficiario; applicabilità della disciplina dettata dall'art. 2932 c.c. - 5. La posizione del gestore nell'ambito del procedimento; - carattere strumentale dei poteri che competono al gestore; - inammissibilità del concetto di “proprietà funzionale”; - inconcepibilità di uno “sdoppiamento” del diritto di proprietà, da riconoscere concorrentemente in capo al gestore e in capo al beneficiario; - esigenza di individuare gli specifici caratteri, propri delle situazioni giuridiche soggettive, in concreto rilevanti. - 6. L'opponibilità ai terzi dell'acquisto programmato a favore del beneficiario; - riferimenti alla disciplina dettata dall'art. 3 del D. Lgs. 31.12.1996 n. 669 conv. in L. 28.2.1997 n. 30; il negozio del disponente come “indice di circolazione”, peculiarmente caratterizzato dal suo contenuto; - possibilità per il beneficiario di farlo valere nei confronti dei terzi in conflitto. - 7. Inefficacia degli atti abusivamente posti in essere dal gestore; - carattere reale dell'aspettativa, da riconoscere in capo al beneficiario; - legittimazione di quest'ultimo, oltre che del disponente, all'esercizio di azioni, anche di carattere recuperatorio e reintegratorio, nei confronti dei terzi. - 8. n fenomeno della “separazione dei beni” e la sua ammissibilità nel nostro ordinamento anche in casi non specificamente disciplinati; - separazione dei beni e distacco del patrimonio dal titolare; - riflessioni sul cd. principio di infrazionabilità del patrimonio; - piena validità del negozio, posto in essere dal disponente, ogni qualvolta esso abbia ad oggetto una massa di beni specificamente individuati, non coincidente con il patrimonio o con una quota di quest'ultimo. - 9. Possibilità di qualificare tale negozio secondo i caratteri di esso propri e di individuarne i caratteri e la disciplina senza operare alcuna relatio allo schema formale del trust; - individuazione delle finalità, anche di tipo liberale, perseguibili attraverso il negozio stesso. - 10. Breve nota di carattere metodologico.